S. VITALE

VIA NAZIONALE – RIONE MONTI

Facciata e abside
Foto di Pietro Massolo

La Basilica (basilica “minore”, per l’esattezza) paleocristiana di S. Vitale si trova in Via Nazionale, ma notevolmente più in basso rispetto al livello stradale. È ubicata precisamente nei pressi del Palazzo delle Esposizioni, a poca distanza dalla chiesa di S. Paolo entro le Mura (che però si trova sul lato opposto). Una scalinata collega la chiesa alla strada.

La collocazione cronologica della vita del Santo, a cui è dedicata ufficialmente dal 595, è estremamente incerta, variando addirittura dal I al III-IV secolo. Non è facile distinguere la storia dalla leggenda nelle vite dei Santi. Sappiamo che Vitale era un militare milanese di origine e fu martirizzato a Ravenna, probabilmente all’inizio del IV secolo.

La chiesa di San Vitale venne costruita agli inizi del V secolo trasformando un precedente oratorio dedicato ai Martiri Gervasio e Protasio (figli di S. Vitale) in una basilica a tre navate durante il pontificato di Innocenzo I (401-417).
La data precisa della consacrazione non è certa, potendosi situare o poco prima o poco dopo il famoso sacco di Roma da parte dei Visigoti avvenuto nel 410.

Proprio in quel momento storico avvenne il vero crollo dell’Impero Romano d’Occidente sotto l’impeto delle invasioni barbariche, con largo anticipo rispetto alla datazione ufficiale del 476.
Bisogna precisare che già dal tempo di Diocleziano Roma non era più la capitale (intesa come sede imperiale) o almeno non era più la sola capitale dell’Impero d’Occidente (definitivamente separato dalla parte orientale alla morte di Teodosio nel 395) poiché divideva questo ruolo con Milano, mantenendo comunque una supremazia morale. Nel 402 l’imperatore Onorio spostò la capitale ufficiale da Milano a Ravenna, ritenuta inattaccabile per via delle paludi. Gregorovius ci dice, nel I volume della Storia di Roma nel Medioevo, che dal punto di vista dei monumenti la città già prima del sacco alariciano del 410 era in piena decadenza. Quindi S. Vitale sorse in un’Urbe già in buona parte in rovina, in cui l’impronta cristiana era ancora limitata. Infatti Gregorovius è convinto che la portata delle devastazioni prodotte dai Visigoti è stata per troppo tempo sopravvalutata.

All’inizio la basilica era nota come “titulus Vestinae” dal nome della matrona romana che aveva lasciato tutti i suoi beni per l’edificazione del luogo di culto. All’epoca questo tipo di denominazione era normale e derivava dalla consuetudine romana di scrivere su una lastra (titulus) il nome del donatore di un edificio di uso pubblico. Si veda a questo proposito la lista dei tituli indicata nel Sinodo del 499, importantissima fonte d’informazione sulla storia più antica delle chiese romane.

Nel corso dei secoli S. Vitale andò incontro a vari restauri e subì radicali trasformazioni.
Nel XV secolo Sisto IV (1471-1484) la fece ristrutturare drasticamente ed eliminò le navate laterali. Tracce molto evidenti di questa trasformazione sono ancora visibili sul lato esterno destro della navata. Sul portale, dotato di notevoli battenti lignei scolpiti nel Seicento, è infatti presente lo stemma di Sisto IV con la tipica quercia araldica dei Della Rovere, sovrastato da un’iscrizione che ricorda il suo intervento.

La chiesa è preceduta da un portico paleocristiano a cinque arcate con capitelli del V secolo. Dopo la cessione della chiesa ai Gesuiti nel 1595 da parte di Clemente VIII Aldobrandini, il portico venne chiuso e trasformato in vestibolo. I lavori degli anni ’30 del Novecento l’hanno ripristinato.
Nel muro di facciata si può notare che in origine alle cinque arcate del portico corrispondevano altrettante aperture: un esempio molto raro di facciata “aperta”.

L’interno della chiesa, nonostante i pesanti interventi che si sono succeduti nel corso dei secoli, fra cui dobbiamo considerare anche quello di Pio IX del 1859, si presenta armonioso e suggestivo. Si ha veramente l’impressione di trovarsi in uno spazio-tempo sacro nettamente separato dal caos e dal rumore di Via Nazionale e ciò è dovuto ovviamente al notevole dislivello rispetto alla strada. La suggestione dell’ambiente è il prodotto di una particolare combinazione: semplicità strutturale (navata unica con due altari per lato) e tipicità della decorazione pittorica, che è basata su un progetto unitario, sia per i contenuti che per lo stile manierista, tanto vituperato (almeno fino al Novecento) e da me sempre amato.

Il tema fondamentale del ciclo di affreschi, realizzati dai pittori Ciampelli, Ligustri e Commodi al principio del Seicento, è infatti il martirio; su questo aspetto risulta chiaro il parallelo con S. Stefano Rotondo. Entrambe le chiese passano sotto il controllo dei Gesuiti nella seconda metà del XVI secolo e quindi la rappresentazione del martirio ha una precisa funzione diciamo “pedagogica”: i Gesuiti, nella loro attività missionaria sia nei paesi ancora pagani, sia in quelli protestanti, devono essere pronti al sacrificio supremo. Non va trascurato neppure l’aspetto ideologico: in chiara polemica con la chiesa riformata, che ha esaltato il valore della fede rispetto alle opere, nell’ottica controriformistica il martirio è proprio da vedere come la massima opera umana possibile in funzione della salvezza eterna. E questo ovviamente vale non solo per i Gesuiti, ma per tutti i fedeli.

Stabilita l’analogia con S. Stefano Rotondo, non si può trascurare la profonda differenza d’impostazione. Nella chiesa sul Celio il Pomarancio (per l’esattezza Niccolò Circignani per evitare di confonderlo con gli atri due “Pomaranci”) ha voluto soprattutto mettere in risalto il lato cruento e direi raccapricciante del martirio.
Gli affreschi di S. Vitale sono nettamente diversi: l’atmosfera è molto più distesa. A che cosa dobbiamo questa differenza così marcata? Cercherò di spiegarlo brevemente. La maggiore fama dell’artista ci porterebbe a privilegiare la Lapidazione e il Martirio di S. Vitale nel transetto del toscano Agostino Ciampelli, pittore abbastanza conosciuto e apprezzato nell’ambito della pittura controriformistica. Ma io adoro i 10 paesaggi attribuiti all’assai meno noto artista viterbese Tarquinio Ligustri (“nomen omen”) nelle pareti della navata. Sono proprio questi paesaggi a fare la differenza.

Foto e testo di Pietro Massolo

Sitografia:

https://www.youtube.com/watch?v=w4LRzaPLv98

https://it.wikipedia.org/wiki/Basilica_di_San_Vitale_(Roma)

https://romanchurches.fandom.com/wiki/San_Vitalehttps://it.wikipedia.org/wiki/Vitale_di_Milano

https://it.wikipedia.org/wiki/Titulus

http://www.treccani.it/enciclopedia/tarquinio-ligustri_(Dizionario-Biografico)/

https://santivitale.com/2014/12/17/san-vitale-ovvero-la-basilica-della-riforma-cattolica/#_ftn1

https://santivitale.com/la-parrocchia/

http://www.annazelli.com/basilica-di-san-vitale-via-nazionale-roma.htm

https://www.romasegreta.it/monti/via-nazionale.html

Bibliografia:

A parte l’imprescindibile Guida Rossa del Touring, consiglio sempre “Le Chiese di Roma” di Claudio Rendina.
Utile è anche il “dépliant” disponibile in chiesa per “pellegrini e turisti”.
Per lo studio di Roma medioevale rimane fondamentale: F. Gregorovius, Storia di Roma nel Medioevo

SANTA CATERINA A MAGNANAPOLI

Tutti passano di fronte a questa bella chiesa seicentesca, che si trova in uno dei punti più trafficati di Roma, quasi all’imbocco di Via Nazionale.
Ma pochi romani, anzi direi pochissimi, la conoscono, sebbene sia la chiesa principale dell’Ordinariato Militare.
Fu costruita dall’architetto G. B. Soria fra il 1628 ed il 1641.
L’origine del nome della piazza, un po’ strano, non è chiara. Sono state fatte varie ipotesi. Ma in ogni caso Largo Magnanapoli è uno dei luoghi più interessanti di Roma dal punto di vista storico. Basti pensare ai resti delle mura serviane nel giardinetto al centro, al vicino ingresso dei Mercati di Traiano ed all’imponente Torre delle Milizie. Per non parlare della famosa Salita del Grillo, che termina proprio a pochi metri di distanza dalla chiesa. E poi, un po’ più in là, il Quirinale….
Siamo veramente nel cuore di Roma antica, medioevale e moderna!
Ma torniamo alla chiesa.
La facciata è preceduta da un doppio scalone che ricalca il modello michelangiolesco del Palazzo Senatorio al Campidoglio. Fu realizzato all’inizio del Novecento in seguito all’apertura di Via Nazionale, che comportò un notevole abbassamento del livello stradale.
La facciata è un tipico esempio del passaggio dal tardo rinascimento al barocco, di cui Soria fu uno dei protagonisti: compatto doppio ordine di lesene, portico a tre arcate, grande timpano sulla sommità. Indubbiamente, le trasformazioni tra ottocento e novecento hanno cambiato in modo radicale l’impatto visivo della chiesa, la cui facciata risulta oggi molto innalzata rispetto alla strada e quindi più ‘monumentale’ rispetto a quando venne costruita. Ma secondo me non ha perso niente, anzi nel complesso ha acquisito una sua maggiore originalità nel contesto urbano.
L’interno è a navata unica con tre cappelle per lato, secondo il modello imperante nel periodo della Controriforma.
Nella volta possiamo ammirare un affresco di Luigi Garzi del 1713 che rappresenta la Gloria di Santa Caterina da Siena.
L’opera più interessante si trova nel presbiterio: è l’apparentemente berniniana Estasi di Santa Caterina, in realtà realizzata dallo scultore barocco, di origine maltese, Melchiorre Cafà o Caffà, coevo del Bernini.
Per approfondire: