SANTI AMBROGIO E CARLO AL CORSO

VIA DEL CORSO
RIONE IV-CAMPO MARZIO

Via del Corso, ritenuta la strada “storica” più importante di Roma (Via Veneto è probabilmente più famosa, però è moderna), è ricchissima di chiese e di palazzi nobiliari.
Sostanzialmente, si tratta del tratto urbano dell’antica Via Flaminia, costruita dal censore Gaio Flaminio Nepote nel 220 a. C..
Nota col nome di Via Lata già nell’Antichità e fino al Rinascimento, assunse poi il nome di “Corso” per via delle corse dei cavalli “scossi”, cioè senza cavalieri, che vi si tenevano durante il Carnevale fino al 1883.
Via del Corso è la strada centrale del cosiddetto “Tridente” realizzato nel Rinascimento, che con Via del Babuino e Via di Ripetta innovava profondamente l’intricato sistema viario di Roma.
Lungo il suo percorso, che unisce Piazza del Popolo a Piazza Venezia, troviamo ben 5 chiese storiche: partendo da Piazza Venezia
S. Maria in Via Lata e S. Marcello; partendo da Piazza del Popolo Gesù e Maria e S. Giacomo in Augusta; più al centro la basilica “minore” dei SS. Ambrogio e Carlo, chiesa “nazionale” dei lombardi residenti a Roma.
Una comunità di artigiani lombardi era presente a Roma sin dall’Alto Medioevo, ma nella seconda metà del Quattrocento si era accresciuta molto a causa del grande rinnovamento edilizio dell’Urbe. Nel 1471 i lombardi avevano fondato una Confraternita con l’approvazione di Sisto IV ed ottenuto la chiesa medioevale di S. Niccolò del Tufo, detta anche S Nicola de Tufis, che fu dedicata a S. Ambrogio.
Si arrivò così, pian piano, alla decisione di Paolo V (1605-1621) di elevare il rango della Confraternita, che divenne “Arciconfraternita” e concepì subito il progetto di una nuova chiesa dedicata al grande Santo tradizionale dei milanesi, S. Ambrogio, e a Carlo Borromeo, da poco canonizzato, grande riformatore della chiesa lombarda in qualità di Arcivescovo di Milano dal 1566 alla morte avvenuta nel 1584.
Giova ricordare il famoso episodio della processione guidata dallo stesso Carlo Borromeo a piedi nudi in occasione della famosa peste del 1576-1577, nota come “peste di S. Carlo”.
La nuova chiesa venne iniziata nel 1612, poco dopo la canonozzazione di S. Carlo Borromeo (1610), al posto della già menzionata chiesa di S. Niccolò del Tufo, che si trovava accanto all’attuale e fu demolita nel 1672. Della vecchia chiesa rimane un tabernacolo quattrocentesco per l’Olio Santo vicino all’altare.
La pianta fu disegnata dall’architetto e poeta lombardo Onorio Martino Longhi (1568-1619), figlio del più noto Martino Longhi il Vecchio e padre di Martino Longhi il Giovane.
Onorio Martino Longhi, laureato in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma, dotto umanista un po’ anticonformista, diciamo così, era stato amico personale di Caravaggio (morto nel 1610) ed era anche stato coinvolto con il grande pittore nel processo per omicidio del 1606.
Un’amnistia papale gli permise di tornare a Roma, dove realizzò anche la chiesa di S. Maria Liberatrice al Foro Romano (distrutta per portare alla luce S. Maria Antiqua) e la Cappella Santori in Laterano.
L’originalità della chiesa dedicata ai SS. Ambrogio e Carlo, tipica basilica a croce latina con tre navate e tre cappelle per lato, consiste essenzialmente nel deambulatorio che gira attorno all’altare, ispirato al Duomo di Milano.
Onorio Martino Longhi non riuscì a completare la realizzazione del progetto, che fu rallentato dalla carenza di fondi e venne continuato prima dal figlio Martino Longhi il Giovane e poi da Pietro da Cortona (1596-1669), autore dell’abside, della perfetta cupola con tamburo e lanternino (1668), e del disegno generale della decorazione dell’interno (con particolare riferimento agli stucchi, realizzati con il cortonese ancora vivente sulla base dei suoi disegni).
La singolare facciata tripartita in senso verticale, infine, fu realizzata su disegno del cardinale Luigi Alessandro Omodei nel 1682, esattamente 70 anni dopo l’inizio della costruzione.
Per chi la guarda da Via del Corso, la chiesa non si presenta al massimo del suo splendore. Guardandola da Piazza Augusto Imperatore, invece, l’abside, il tamburo, la cupola e il lanternino formano un insieme veramente monumentale e perfettamente armonioso. Soprattutto il tamburo è unanimemente considerato un capolavoro cortoniano. Questa veduta posteriore della chiesa è secondo me una delle più belle e suggestive della Città Eterna.
All’interno sono presenti numerose e notevoli opere d’arte, fra le quali segnalo:
la Pala d’altare di Carlo Maratta che rappresenta la “Gloria dei Santi Ambrogio e Carlo” (1690);
l’affresco della volta intitolato “Caduta degli angeli ribelli” di Giacinto Brandi (1679: lo stesso anno del Trionfo del Nome di Gesù del Baciccia!);
la decorazione in Stucco della navata centrale e del Transetto (1669), realizzata da Cosimo Fancelli sotto la direzione di Pietro da Cortona in collaborazione con il fratello Iacopo Antonio.
La storica dell’Arte Annalisa P. Cignitti scrive nel suo blog “Rocaille” che questa chiesa è un “trionfo del barocco romano. Come la Chiesa del Gesù, ma in modo diverso”. Infatti, bisogna subito dire che la Chiesa del Gesù non nasce barocca e quindi non rientra nel novero delle chiese barocche. La sua pianta ad una sola navata, disegnata dal Vignola, diverge totalmente da quella di S. Carlo al Corso. Però la decorazione interna delle due chiese avviene più o meno negli stessi anni e quindi in entrambi i casi ci troviamo di fronte a tipiche espressioni dell’estetica barocca, con la ricerca dell’effetto scenografico e della meraviglia. Ma allora dove sta la differenza, se ci si limita all’interno?
Il primo punto da mettere in rilievo è l’impronta di Pietro da Cortona. Ho sempre ritenuto la poetica del cortonese, considerato uno dei capisaldi del barocco soprattutto grazie al “Trionfo della Divina Provvidenza” di Palazzo Barberini, profondamente diversa sia dagli sfrenati sviluppi dell’illusionismo e dello sfarzo, sia dalle ricerche separate e distinte del Bernini e del Borromini. Infatti ha scritto Giulio Carlo Argan che Pietro da Cortona “come pittore, mira a sviluppare tutte le possibilità di un binomio Raffaello-Tiziano, come architetto sviluppa tutte le possibilità di un binomio Bramante-Palladio; la sua è dunque una linea di neo-cinquecentismo, che conserva e riafferma il valore della struttura e della “misura umana”, anche nei confronti delle opposte tendenze, all’espansione e alla contrazione spaziale, del Bernini e del Borromini.” (G. C. Argan, Storia dell’arte italiana, vol. 3, Sansoni, p. 331). Ecco la radice della differenza. Infatti il Baciccio, che si esprime al suo massimo grado nella Chiesa del Gesù, è un intimo amico e collaboratore del Bernini, mentre l’affresco di Giacinto Brandi è molto legato all’impostazione cortoniana, soprattutto nel gigantismo degli Angeli.
Confontando i due affreschi, si nota subito che Gaulli detto il Baciccia ricerca lo “sfondamento” illusionistico e il contrasto violento fra il chiarore e l’oscurità, mentre Brandi ha un’impostazione molto più composta e classica.
Per un confronto diretto:

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/aa/Interior_Roof%2C_Basilica_of_San_Carlo_al_Corso_%285936712433%29.jpg

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/31/Triumph_of_the_Name_of_Jesus.jpg

Tutto questo accade nello stesso momento, una riprova della relatività delle periodizzazioni e di quanto siano varie le espressioni del barocco.
Ma a parte questo confronto, ciò che secondo me conta di più è la prima impressione, immediata, spontanea, pura. Entrando nel tempio gesuitico la prima cosa che ci colpisce è lo sfarzo barocco, totalmente in contrasto con l’impostazione originaria della chiesa, mentre a S. Carlo al Corso siamo subito impressionati dalla spazialità.
Per quanto riguarda l’aspetto devozionale della chiesa “nazionale” dei lombardi, c’è da rilevare che in una nicchia dietro l’altare si trova la preziosa reliquia del cuore di San Carlo, concesso alla chiesa nel 1614 dal cugino Federico Borromeo, uno dei personaggi dei “Promessi Sposi”.

Sitografia:

http://www.arciconfraternitasantiambrogioecarlo.it/arciconfraternitasantiambrogioecarlo/index.php?option=com_content&view=article&id=116&Itemid=569&lang=it

https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Borromeo#L’opera_riformatrice_come_arcivescovo_di_Milano

https://it.wikipedia.org/wiki/Basilica_dei_Santi_Ambrogio_e_Carlo_al_Corso

https://romanchurches.fandom.com/wiki/San_Carlo_al_Corso

https://www.romasegreta.it/campo-marzio/ss-ambrogio-e-carlo-al-corso.html

https://www.rocaille.it/santi-ambrogio-e-carlo-al-corso-roma/

https://www.vaticano.com/turismo/scheda_170_santuario-basilica-dei-santi-ambrogio-e-carlo-al-corso.html

http://www.060608.it/it/cultura-e-svago/luoghi-di-culto-di-interesse-storico-artistico/chiese-cattoliche/chiesa-ss-ambrogio-e-carlo-al-corso.html

https://scoprendoroma.info/luoghi/basilica-dei-santi-ambrogio-carlo-al-corso/

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/aa/Interior_Roof%2C_Basilica_of_San_Carlo_al_Corso_%285936712433%29.jpg

https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/3/31/Triumph_of_the_Name_of_Jesus.jpg

Bibliografia:
la Guida Rossa del Touring è un punto di partenza direi imprescindibile.
Sulle chiese di Roma, a parte l’ormai classica “Le chiese di Roma” di Claudio Rendina, consiglio l’omonima opera di Mariano Armellini, che pur risalendo alla fine dell’Ottocento è ancora oggi una fonte molto utile di notizie documentarie.
Segnalo anche: “Le chiese barocche di Roma” di Federico Gizzi, “17 itinerari a Roma” di François Nizet, “La grande guida di Roma” di Mauro Lucentini.
Un discorso a parte merita la grande raccolta “Roma sacra”, nel cui primo fascicolo troviamo anche una trattazione molto interessante e direi esauriente di Simonetta Ceccarelli dedicata proprio alla chiesa dei SS. Ambrogio e Carlo al Corso.

Per la Storia dell’Arte Italiana consiglio sempre quella di Giulio Carlo Argan, ovviamente senza escludere le altre:

(Foto di Pietro Massolo)

SAN SALVATORE IN LAURO

Le origini della chiesa, menzionata sin dal XII secolo, ma ricostruita nel Quattrocento e alla fine del Cinquecento, non sono ben note. Si affaccia sulla piazza omonima, una delle più importanti del Rione Ponte.
Il suo nome è stato messo in relazione con un boschetto di lauri che si trovava nelle vicinanze.
È la chiesa ‘nazionale’ dei marchigiani da quando nel 1669 fu acquisita dall’Arciconfraternita dei Piceni. Infatti sulla facciata si può ammirare un rilievo che rappresenta la Santa Casa di Loreto.
Nel 1591 venne distrutta da un incendio e pochi anni dopo iniziò la ricostruzione, alla quale partecipò anche l’architetto Ottaviano Mascherino, che terminò soltanto nell’Ottocento con la costruzione della facciata ‘purista’ su disegno dell’architetto Camillo Guglielmetti.
L’nterno della chiesa, ad una sola navata con cappelle laterali (nel tipico stile della Controriforma) mostra un’impronta tipicamente palladiana nei grandiosi fusti delle colonne aggettanti.
Il transetto e la cupola sono opera dall’architetto romano Ludovico Rusconi Sassi (1678-1736). L’altare maggiore fu progettato da Antonio Asprucci alla fine del Settecento.
Nelle cappelle laterali troviamo opere di pittori importanti, fra cui spicca Pietro da Cortona (Adorazione dei pastori, terza cappella a destra: di tratta di una delle primissime opere dell’artista).
All’esterno sono da notare i potenti contrafforti sul fianco destro, che ricordano le chiese (cosiddette) gotiche.
Annesso alla chiesa è un convento fatto costruire dal cardinale Latino Orsini a metà del Quattrocento. Nel refettorio del convento troviamo opere d’arte di enorme valore storico: affreschi del manierista Francesco Salviati (1550) e monumenti funebri del XV secolo realizzati da Isaia da Pisa e Giovanni Dalmata.
Da consultare anche la piccola e ben fatta guida disponibile nella chiesa.

REFETTORIO

CHIOSTRO

(Foto di Pietro Massolo)

 

ARTEMISIA GENTILESCHI

Artemisia Gentileschi (1593-1653) non è stata soltanto una grande pittrice, pienamente meritevole di un  posto nella Storia dell’Arte. La sua vita costituisce  infatti un esempio  di vero e proprio femminismo ante litteram, che però non deve essere interpretato in senso troppo moderno.

Oggi moltissime donne si dedicano alla pittura, ma alla sua epoca la cosa sembrava alquanto strana ed inquietante. Va anche precisato che in effetti non era il primo caso. Basterebbe citare Sofonisba Anguissola, che era stata apprezzata da Michelangelo ed era divenuta ritrattista della famiglia  reale di Spagna.

Il caso di Artemisia è però più eclatante, anche perché fu protagonista di una vicenda drammatica che le diede grande notorietà. Ebbe infatti il coraggio di accusare di stupro il pittore Agostino Tassi, anche se il suo ruolo effettivo in tutta questa vicenda non è stato ancora chiarito. Non è dato sapere, in sostanza, se l’impulso principale sia partito dal padre, desideroso di difendere l’onore della famiglia, oppure da Artemisia stessa, offesa per le promesse non mantenute dal suo ‘stupratore’, che oltretutto era sposato….

 Figlia d’arte (il padre era il noto ed importante pittore Orazio Gentileschi, formatosi nell’ambito del manierismo, ma poi fortemente influenzato da Caravaggio), Artemisia si dimostrò un talento precoce e poté avere (cosa rarissima  per una  donna) una  formazione artistica presso la bottega romana del padre.

A quell’epoca (siamo nel periodo a cavallo tra ‘500 e ‘600) a Roma si trovavano artisti di prima grandezza, tra cui Michelangelo Merisi da Caravaggio. Il fatto di avere un padre pittore e di vivere a Roma in quel periodo straordinario compensò ampiamente lo svantaggio di essere donna in un mondo totalmente dominato dagli uomini. Lo stesso Caravaggio ebbe sicuramente una notevolissima influenza nella formazione della giovane pittrice.

Nonostante le difficoltà, Artemisia Gentileschi riscosse un grande successo, grazie ad uno stile personale che, partendo dalla fondamentale lezione paterna,  sintetizzava le tendenze principali del suo tempo, nel quadro di una cultura artistica fondamentalmente barocca.

LA PITTURA NELL’EPOCA DI ARTEMISIA GENTILESCHI

Nell’ultimo ventennio del ‘500, a Roma, il manierismo impera e nello stesso tempo si afferma con Paul Bril il paesaggismo.

In generale, la Controriforma impone un concetto di arte intesa in senso pedagogico-devozionale. Tutte le arti hanno il compito di consolidare la Fede attraverso la rappresentazione degli Atti dei Martiri, antichi e moderni, e della Storia Sacra. Questa concezione pedagogica dell’arte trova la sua espressione tipica nella scuola manierista, a lungo bistrattata, ma dotata di una sua notevole modernità ed anche di un’indubitabile varietà, ora ampiamente riconosciute dalla critica. Un tipico esempio di manierismo unito alla devozione lo troviamo negli affreschi di S. Vitale:

https://massolopedia.it/s-vitale/

In questa sorta di “humus” manierista, aderente al dettato controriformista e nello stesso tempo a suo modo originale e persino  “rivoluzionario”, si forma il padre di Artemisia.  

Ma proprio negli ultimi 10-15 anni del secolo XVI si affermano tendenze nuove destinate a trasformare profondamente il panorama artistico. I Carracci fondano a Bologna una nuova scuola basata sulla riscoperta del disegno dal vero che soppianta progressivamente la ‘maniera’. A Roma arriva un lombardo che si chiama Michelangelo Merisi. La sua impostazione ideologica deriva direttamente dal cattolicesimo lombardo, al quale San Carlo Borromeo aveva dato un’impronta indelebile. Caravaggio rappresenta senza veli la dura realtà di un mondo caratterizzato dalla povertà e dal peccato: dopo decenni di manierismo imperante è una vera rivoluzione.

In linea generale, si può quindi dire che tra Cinque e Seicento il mondo della pittura viene sconvolto da un vero e proprio terremoto: il ritorno al naturalismo, sia pure con alcune importanti e decisive differenze tra la scuola bolognese dei Carracci ed il modello di Caravaggio. È significativo che proprio a Roma lavorano per un certo periodo sia Annibale Carracci, sia Caravaggio. Una coincidenza certo non casuale e di enorme peso storico.

Il naturalismo della scuola bolognese è più classicamente orientato e darà origine, fra l’altro, alla pittura raffinata di Guido Reni e del Domenichino.

Invece Caravaggio inventa un naturalismo veramente inusitato, aspramente realista e tragico, basato sulla rappresentazione degli umili e sul contrasto violento fra la luce e l’ombra, riflesso della sua visione della vita.

Ma all’inizio del secolo XVII arriva  a Roma anche Pieter Paul Rubens, uno dei ‘padri’ del barocco! Roma è quindi, nell’epoca della prima formazione di Artemisia Gentileschi, una fucina d’arte pazzesca.

APPROFONDIMENTO STORICO-ARTISTICO

La vicenda del processo per stupro ed il fatto di essere donna in un mondo artistico totalmente dominato dagli uomini hanno fatto di Artemisia Gentileschi (1593-1652 o 53) una vera icona del femminismo.

Ma quale fu la sua autentica ‘poetica’ e quale posizione ha avuto effettivamente nella storia dell’arte?

Per poter dare un giudizio obiettivo bisogna evitare di farsi condizionare dall’eccezionalità della sua biografia.

Dobbiamo innanzitutto dire che visse in un’epoca veramente straordinaria per quanto riguarda la pittura. Artemisia vide il culmine e il lento tramonto del manierismo e fu testimone, certo non passiva, non solo della rivoluzione naturalistica compiuta da Caravaggio e dalla scuola dei Carracci, ma anche dell’affermazione del linguaggio barocco con Rubens e Pietro da Cortona!

Secondo Giulio Carlo Argan (STORIA DELL’ARTE ITALIANA, VOL. 3, SANSONI), la sua nota stilistica fondamentale consiste nel contrasto, ‘tipicamente barocco’, fra la bellezza e la morte. Ma se il sangue e la morte sono chiaramente segnati dall’impronta inconfondibile caravaggesca, prevale in Artemisia il ‘compiacimento letterario’ e manca l’angoscia autentica del Merisi.

Devo riconoscere che la lettura di Argan mi ha permesso di risolvere, almeno in parte, i miei dubbi e di collocare la grande pittrice in modo più preciso: Artemisia si forma, come il padre Orazio, nell’ambiente romano dominato dal Manierismo, ma viene molto presto fortemente influenzata dal naturalismo e dalla violenza tragica di Caravaggio per poi confluire, a modo suo, nel grande e variegato fiume del barocco.

Ma come dicevo, qualche dubbio rimane….

ALTRE OPINIONI SU ARTEMISIA: BAROCCA O CARAVAGGESCA?

Abbiamo visto che secondo Argan la peculiarità di Artemisia Gentileschi consiste nel contrasto ‘tipicamente barocco’ fra la bellezza da un lato ed il sangue e la morte dall’altro. Argan riconosce l’influsso caravaggesco, ma in senso puramente stilistico-formale perché manca nella pittrice romana il dramma umano autentico e profondo.

Ovviamente ci sono state e ci saranno altre interpretazioni.

Rispetto al padre Orazio, che fu il suo primo maestro e dal quale riprese molti temi, Artemisia appare nettamente più ‘caravaggesca’ nel senso del realismo e del contrasto fra luce ed ombra.

In linea generale, viene quasi sempre messa in rilievo dalla critica l’impronta di Caravaggio, ma a mio parere, sulla scorta della lezione di Argan, non si deve esagerare in tal senso.

In verità, una parte dei critici tende ad enfatizzare il peso della vicenda dello ‘stupro’ e del processo e quindi a vedere nella pittura di Artemisia il riflesso del suo personale dramma umano. Di questo passo, però, si rischia di arrivare ad una specie di interpretazione ‘eroica’ e quasi preromantica della sua pittura: espressione artistica di una titanica lotta contro lo strapotere maschile!

A prescindere dal dramma esistenziale reale, su cui si è molto discusso e si discute ancora, secondo me la collocazione giusta della sua personale ‘poetica’ è all’interno della corrente storico-culturale barocca.

Il punto cruciale è valutare quanto sia stata forte l’influenza di Caravaggio sulla pittura ed in generale sull’arte barocca, ma questo è un altro discorso.

L’ARTE DI ARTEMISIA E LA VICENDA DELLO STUPRO

Artemisia Gentileschi (o Lomi, il cognome del padre Orazio, mentre Gentileschi è il cognome della madre del padre) non è molto facile da collocare in una ‘scuola’ precisa.

In linea generale, possiamo dire che alcuni la considerano ‘caravaggesca’, altri più nettamente ‘barocca’.

Il problema, secondo me, nasce dal fatto che la sua formazione avvenne in un’epoca caratterizzata da una grande varietà di correnti. Inoltre, bisognerebbe anche osservare che quella barocca è una scuola le cui radici sono piuttosto varie e complesse: Correggio, il Manierismo, Rubens, lo stesso Caravaggio…..

Accolgo pienamente il già citato giudizio di Argan: Artemisia rappresenta il contrasto ‘tipicamente barocco’ fra la bellezza e la morte; inoltre, manca nella pittrice romana l’autentica angoscia esistenziale del grande maestro lombardo.

Ribadisco anche che in generale i critici concordano su un punto: sia Orazio Gentileschi, sia la figlia furono fortemente influenzati da Caravaggio, ma in Artemisia il realismo è nettamente più aspro e più drammatico il contrasto chiaroscurale.

Il legame con il padre è comunque molto evidente, se non altro per la ripresa dei temi.

Un altro punto da mettere in rilievo è il peso reale della scabrosa vicenda dello ‘stupro’ nella sua opera. La vicenda non è stata del tutto chiarita, ma comunque Artemisia dimostrò un notevole coraggio continuando a sostenere l’accusa contro il suo stupratore, il pittore amico del padre Agostino Tassi, anche sotto tortura.

Non credo che sia corretto, comunque, interpretare tutta la sua opera come il riflesso di un bisogno di rivalsa e addirittura di vendetta, anche se in alcuni casi può sembrare evidente (si veda Giuditta che taglia la testa di Oloferne).

Sta di fatto che la protagonista assoluta delle sue tele è la donna: dalla lasciva Danae all’eroica Giuditta, dalla sensuale Cleopatra alla Maddalena penitente, le sue tele sono un completo ‘campionario’ delle varie e contraddittorie sfaccettature dello stereotipo femminile.

Atemisia fu indubbiamente una grande pittrice, capace di virtuosismi tecnici e d’introspezione psicologica. Per ottenere successo, seppe adattarsi, ma in modo non certo superficiale, alle richieste ed ai bisogni dei diversi ambienti in cui si trovò ad operare.

Per approfondire:

https://it.wikipedia.org/wiki/Processo_ad_Agostino_Tassi_per_lo_stupro_di_Artemisia_Gentileschi
http://www.softrevolutionzine.org/2014/il-processo-per-stupro-nel-600-il-caso-di-artemisia-gentileschi/
http://cronologia.leonardo.it/storia/biografie/artemisi.htm
http://www.artemisiagentileschi.net/stupro.html
https://it.m.wikipedia.org/wiki/Artemisia_Gentileschi

Si veda anche:

Giulio Carlo Argan, Storia dell’Arte Italiana, vol. 3, Sansoni, p. 290