Pietro Pannucci scrive racconti, poesie, dipinge acquarelli, fotografa le stagioni.
Viene dalle zone etrusche dell’alto Lazio pur essendo vissuto per 42 anni a Roma. Ha fatto installazioni di acquarelli e foto sia a Roma che in Calabria e a Capodimonte dove è nato nel 1947.
Non disdegna qualche volta l’agone politico scrivendo brevi riflessioni a carattere sociologico.
Nella prefazione del suo libro intitolato “Di’ sempre quello che pensi”, Corrado Barberis, emerito esperto di tradizioni alimentari della società contadina, scriveva:
“…. molto spesso la poesia di PANNUCCI coinvolge il Supremo Creatore; magari dopo aver sollevato il lenzuolo, mostrato un miele segreto. ‘Chiesa e casino’: così Manzoni liquidava il povero Tommaseo, in perenne rincorsa tra preghiera e sesso.
Ma con Pannucci la battuta non funzionerebbe perché non si tratta di accostamento bensì di fusione. È in altri termini il casino a farsi Chiesa e la Chiesa casino, l’amore profano si confonde con il divino anzi è il divino. E viceversa. Certe sue vignette, gli inviti a rovistare nei cassetti della sua anima per tirarne fuori camicie e calzini aggiornano Guido Gozzano ad una civiltà che non è più quella delle ville di Aglié ma che, periurbana com’è, mantiene il sentore del muschio, della campagna. Poesia DOC.”
Quando verrai
Potrai frugare in tutti i cassetti
Della mia intimità
Potrai pure lasciarli aperti
Scoprendo camicie e calzini
Che butterai in aria per gioco.
Danzerò per la stanza
Tra le camicie sparse a terra
E la mia Anima vivrà
Come qualche migliaio di anni fa

Avevo all’incirca
quattordici anni quando mio padre
a giugno
faceva il vuoto con la sua falce
tra il grano biondo
che ondeggiava al vento marino.
Lui lasciava per me al suo fianco
un piccolo corridoio di spighe
che io tagliavo a fatica.
Da allora
faccio altrettanta fatica
a rinunciare all’idea
che mio padre è immortale.

Evidenti
sono le tracce di un cavallo
sulla sabbia nera
proprio a pelo della riva del lago
che stamattina è celeste
come un cielo rovesciato.

Se ci fosse VITTORIO
Saremmo in Piazzetta
Io, lui, Filippo, Gianni il barbiere, Rocco, Renzo Patrizi, Rossano,
Con le orecchie “aggelate”
E il naso all’insù
Per guardare la Rocca sotto la neve, il pino di ARALDO tutto bianco,
le macchine sepolte,
la tramontana alla Mergonara.
E tutti avremmo detto che una neve così l’avevamo vista da piccoli nel 56
Quando le mucche erano nei pianterreni delle case
E si scongelavano le barbabietole con pentole di acqua bollente.

RIMINI
Si sono dati da fare
nel tentativo di sovrapporre i loro sogni.
Sotto gli accappatoi bianchi
e i pareo trasparenti,
maschi e femmine
hanno azzeccato si e no
un colpo su cento.
Ora la stagione di caccia
volge al termine
e qualche goccia di pioggia
stende la sabbia che si era agitata
sotto il peso dei loro corpi.
Qualcuno ha chiuso gli ombrelloni
e l’ultimo è venuto via.
