INTRODUZIONE ALLO STUDIO DELL’ISTERIA

PREMESSA GENERALE

L’isteria ha una lunghissima storia “nosografica” che parte addirittura dall’antico Egitto. Essa ha anche avuto un ruolo fondamentale nella nascita della psicoanalisi.
Ma oggi, fondamentalmente, più che un disturbo mentale specifico, essa viene considerata come un complesso di manifestazioni sia somatiche, quali convulsioni, dispnea, anestesie, paralisi, sia psichiche, come la dissociazione.
L’isteria non ha più uno statuto di disturbo mentale a sé stante, essendo la sua sintomatologia suddivisa in due classi di disturbi clinici distinti:
i disturbi somatomorfi, intesi come sintomi fisici privi di base organica e quindi di natura psicogena;
i disturbi dissociativi, che consistono in una perdita della funzione integrativa della coscienza, della memoria e della percezione.
Questa scelta nosologica fatta dall’American Psychiatric Association nel “Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali” (DSM) ha suscitato alcuni dissensi, ma è comunque quella oggi prevalente.
Collegato all’isteria viene considerato anche il disturbo istrionico di personalità, caratterizzato da “un persistente e pervasivo quadro di emotività eccessiva e di ricerca di attenzione”, da sempre ritenute tipiche manifestazioni isteriche. Bisogna precisare che rispetto ai disturbi clinici veri e propri, in generale i disturbi di personalità devono essere considerati come un’esasperazione dei cosiddetti “tratti di personalià”, intesi come “modi costanti di percepire, rapportarsi e pensare nei confronti dell’ambiente e di se stessi”.
Tralasciando il discorso della “malattia” e del “disturbo mentale” in senso oggettivo, sul piano soggettivo il disturbo di personalità (asse 2 del DSM) si distingue dal disturbo clinico (asse 1) anche perché di solito tale tipo di disturbo è “egosintonico”: il soggetto lo considera come un suo peculiare modo di essere o stile di vita e non come una patologia. Per evitare equivoci, l’espressione “egosintonico” non va collegata in modo semplicistico all’idea di “benessere”. Si tratta più precisamente dell’atteggiamento del soggetto nei confronti dei propri sintomi:

In psicologia si dice egosintonico un qualsiasi comportamento, sentimento o idea che sia in armonia con i bisogni e desideri dell’Io, o coerente con l’immagine di sé del soggetto. I sintomi delle patologie psichiatriche possono essere egosintonici oppure non esserlo. In genere i sintomi dei disturbi di personalità sono egosintonici (la persona si sente in sintonia coi sintomi, quindi non prova disagio, e sono ritenuti da essa coerenti col resto della personalità). L’opposto del termine è egodistonico. “Egosintonico” è stato introdotto come termine nel 1914 da Freud in Introduzione al narcisismo, ed è rimasto una parte importante del suo apparato concettuale” https://it.wikipedia.org/wiki/Egosintonico

Per capirlo potrebbe bastare l’esempio del disturbo paranoide di personalità: il soggetto non è minimamente consapevole dell’assurdità delle sue paranoie perchè se lo fosse non sarebbe veramente “disturbato”. Semmai, il paranoide fa star male gli altri.
Nel caso dei disturbi clinici, invece, il soggetto generalmente sta male e ne è pienamente consapevole, al punto che cerca di uscire in un modo o nell’altro dalla sua situazione. Tale è il caso, ad esempio, di chi ha paura dell’aereo e quindi non può prenderlo neanche quando gli servirebbe (la fobia è classificata tra i disturbi d’ansia, nell’ambito dell’asse 1, “disturbi clinici”), ma per questo si sente menomato e tende a cercare, almeno a parole, una soluzione del problema.
Tornando al disturbo istrionico di personalità, risulta evidente che si tratta di un modo costante e pervasivo di pensare e di agire sicuramente disadattivo, ma comunque, nonostante le conseguenze negative che comporta, non spinge il soggetto a cambiare. Anzi, l’istrionico tende a considerare se stesso come una persona molto speciale e quindi sotto certi aspetti persino superiore alla media.
Lo stesso discorso non si può fare, ovviamente, nel caso dei disturbi clinici (tra i quali rientrano i disturbi somatoformi e quelli dissociativi), che comportano un vissuto soggettivo di disagio evidente e a volte grave.

Il disturbo isterico, che come tale non è più considerato nel DSM, e il disturbo istrionico costituscono due gradi distinti dello stesso quadro psicopatologico generale ed infatti presentano molti punti in comune: per esempio la labilità emotiva e il bisogno di attenzione. Tuttavia il disturbo istrionico viene considerato più gave. Secondo la classificazione di Kernberg, l’isterico rientra nell’organizzazione di personalità nevrotica, l’istrionico in quella borderline (Lingiardi, p. 261). Sempre secondo Kernberg, il nevrotico si caratterizza per la capacità di tollerare l’angoscia e per un intatto esame di realtà e un buon grado di adattamento (ib. p. 263), mentre nello psicotico l’esame di realtà e l’adattamento sono gravemente compromessi. L’area borderline costituisce, come fa capire il termine stesso, una sorta di via di mezzo, un’area di confine tra i due livelli nevrotico e psicotico.
Si veda.
https://it.wikipedia.org/wiki/Disturbo_di_personalit%C3%A0
Bibliografia:
V. Lingiardi, I disturbi di personalità, ed. il Saggiatore, 2001


ETIMOLOGIA
La parola “isteria”, che denota una particolare “nevrosi” detta anche “nevrosi isterica”, deriva dal greco ὑστέρα (hystera), sostantivo femminile della prima declinazione che significa utero. Questo sostantivo è chiaramente collegato all’aggettivo ὕστερος (hysteros) che secondo l’imprescindibile vocabolario di Lorenzo Rocci può significare, fra le altre cose, “inferiore”. Quindi la parola ὑστέρα (hystera) è legata alla posizione dell’utero nel corpo femminile. Altri l’interpretano nel senso di una parte protuberante rispetto alla linea del corpo e quindi la collegano al ventre sporgente della donna. Comunque, questa “malattia” è stata per tradizione considerata tipicamente femminile, anche se in effetti risulta ampiamente dimostrato che non è esclusiva delle donne.
In latino, però, la parola “uterus” è di genere maschile e pare strettamente collegata al greco ὕδερος (hyderos), sostantivo maschile che significa idropisia, rigonfiamento od accumulo di liquido. Altri (cfr. Zingarelli) la collegano ad “uter, utri”, sostantivo maschile che significa otre e quindi contenitore
Per l’etimologia:
https://en.wiktionary.org/wiki/%E1%BD%91%CF%83%CF%84%CE%AD%CF%81%CE%B1
Bibliografia.
L.Rocci, Vocabolario greco-italiano
Castigioni-Mariotti, Il -Vocabolario della lingua latina

https://massolopedia.it/curriculum-vitae-2/